Lino Del Fra

Storia

Nato in Via Giulia il 20 giungo 1927, come ricorda Cecilia Mangini: «una delle strade più romane di Roma, sul tetto dove la nonna materna allevava le galline», Pasqualino Del Fra vive gli anni della propria infanzia e adolescenza ricevendo un’educazione fascista e frequentando il liceo Umberto I.
La caduta di Mussolini e gli anni della Resistenza lo spingono ad avvicinarsi ai valori e alle lotte dell’estrema sinistra. Laureatosi a pieni voti in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, nel 1952 viene nominato assistente volontario presso la cattedra di Filosofia morale e di Pedagogia della stessa facoltà, mantenendo il ruolo per cinque anni.
È assiduo frequentatore dei cine-club della Federazione italiana circoli del cinema (FICC), rimasta fedele al Partito comunista italiano (PCI), tanto da ricoprire la carica di segretario nazionale dal 1952 al 1954, diventando anche membro del consiglio direttivo dell’ANAC. Esercita la professione di giornalista e critico cinematografico per “L’Avanti”, “Mondo Nuovo” e periodici specializzati di cinema quali “Cinema Nuovo”, “Bianco e Nero” e “La Rivista del Cinema Italiano”. Parallelamente alla sua attività di regista, continuerà a pubblicare articoli di politica cinematografica e a partecipare a conferenze fino agli inizi degli anni Novanta. Va inoltre ricordata la sua curatela della pubblicazione Le notti di Cabiria di Federico Fellini, per la collana diretta da Renzo Renzi, Dal soggetto al film, con la casa editrice Cappelli (1957) e Sciara Sciat. Genocidio nell’oasi. L’esercito italiano a Tripoli (Roma, Datanews, 1995) che Del Fra aveva originariamente concepito come un documentario a puntate dal titolo Tripoli bel suol d’amore e mai realizzato.
Frequentando l’ambiente dei cine-club, incontra Cecilia Mangini che diventerà sua compagna di vita e di lavoro. Tra loro l’intesa è immediata: condividono la medesima passione per la Settima Arte e gli stessi valori politici. Passando dietro la macchina da presa, Lino Del Fra abbraccia totalmente il concetto di cinema militante; l’intento è quello di mostrare le trasformazioni del paese dopo la Seconda guerra mondiale, dal punto di vista degli emarginati di qualunque censo, classe, età, provenienza geografica e norma morale.
Se è vero che i primi progetti – il risorgimentale Vecchio Regno (1959) e il documentario di propaganda elettorale Il popolo vota socialista (1960), realizzato in occasione delle elezioni amministrative – riportano anche le firme di Mangini e nel secondo caso anche di Lino Micciché, il cortometraggio che segna l’esordio esclusivo di Del Fra alla regia è La gita (1960). Qui “ragazzi e ragazze bene, benissimo” passano una giornata di amori, tensioni, superficiali svaghi e capricci sullo sfondo di una spiaggia deserta, in inverno. Il commento in voice over, tratteggiando i comportamenti del gruppo al pari di abitudini di un clan fuori dagli obblighi mondani, restituisce agli spettatori il senso di desolazione che sembra attanagliare la modernissima gioventù dei ricchi, ma soprattutto anticipa in qualche misura il taglio antropologico dei tre documentari successivi del cineasta romano.
Realizzati all’inizio degli anni Sessanta, riprendono la lezione del Neorealismo, alla luce dell’innovativa visione antropologica di Ernesto De Martino (che pone l’occhio dell’osservatore all’interno dei fenomeni sociali che studia e non al di sopra), restituendo così voce e dignità a categorie umane escluse dalla storiografia ufficiale. In questa prospettiva Del Fra si situa accanto ad altri documentaristi come Vittorio De Seta, Luigi Di Gianni, Michele Gandin, Gianfranco Mingozzi e Giuseppe Ferrara. Le realtà indagate vanno dai centri abitati del Delta Padano, alle borgate della Capitale; dall’isolamento di vecchi e bambini, fino alla scomparsa degli “antichi mestieri” spazzati via del boom economico; dall’analfabetismo dilagante, fino all’emigrazione interna della penisola, per sfuggire alla fame e alla miseria.
Avvalendosi del coinvolgimento diretto di De Martino, prendono forma i documentari più strettamente di matrice etnografica, L’inceppata (1960) e La passione del grano (1960), in cui Del Fra fissa su pellicola rituali lucani, rispettivamente tenuti in occasione di un corteggiamento amoroso e al momento della mietitura. Mentre Fata Morgana (1962) denuncia una situazione sconvolgente nel cuore del progresso italiano – a detta dell’antropologo francese Jean Rouch, membro della giuria della Mostra del Film Documentario di Venezia, che gli assegna il Gran Premio Leone di San Marco. Il titolo riprende il nome del treno che ha trascinato un intero popolo di contadini dalle terre del Sud verso le città del “triangolo industriale” del Nord, spinti dalla speranza di trovare un futuro migliore. Ma la promessa della modernizzazione e del benessere non prevede in alcun modo l’integrazione di queste persone tanto nelle comunità sociali, quanto nello stesso tessuto urbano: marchiati da “terroni”, vengono marginalizzati nei quartieri periferici, le “coree”, in condizioni di straziante povertà e ignorati da qualsiasi attenzione mediatica.
Se le produzioni citate dimostrano un chiaro attivismo di Lino Del Fra rispetto alle contraddizioni delle dinamiche socio-economiche del paese, non mancano pellicole dichiaratamente politiche, specchio della sua adesione al Partito socialista italiano (PSI) e, in seguito, al Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP). Con Mangini scrive e dirige All’armi siam Fascisti! (1962) e La statua di Stalin (1963), il primo in coregia con Lino Micciché, entrambi con la collaborazione di Franco Fortini; concepiti come film di montaggio di immagini di repertorio che, per la prima volta, ricostruiscono, storicizzandole, le grandi ideologie novecentesche, hanno esisti completamente diversi. Se il film sull’ascesa e la caduta del regime fascista registrerà nel paese un successo senza precedenti per il genere, il documentario sul fenomeno dello stalinismo subirà da parte del produttore manipolazioni e tagli tali – esce con il titolo Processo a Stalin, con la regia di Fulvio Lucisano (il produttore) e Renato May (il montatore) – da costringere gli autori al ritiro delle loro firme.
Nel 1964, la quindicesima edizione della Mostra Internazionale del Film Documentario di Venezia premia con l’Osella di Bronzo l’inchiesta di Del Fra sul disastro della diga del Vajont, il cui intento di denuncia è dichiarato sin dalla scelta del titolo. Lettera dal Friuli circola nelle sale come un vero e proprio atto di accusa nei confronti dei diretti responsabili, ma anche dello stato italiano, osservato e giudicato nella sua evoluzione storica. Facendo tesoro delle ricerche passate tra i vari istituti di cultura, interni ed esterni alla penisola, per i precedenti film d’archivio, Lino Del Fra riparte dalla Prima guerra mondiale, toccando i compromessi tra l’ex re e il Duce, fino a puntare il dito sulle infiltrazioni e il malgoverno del presente, cosa che gli costa condanne di eccessiva aggressività e faziosità da parte della stampa.
Il cortometraggio Come favolosi fuochi d’artificio (1967) – prodotto dall’Istituto Luce, attento in quegli anni alla realizzazione di opere di preciso significato sociale – presenta il mondo scombinato dei capelloni sul piano dell’abbigliamento e nei loro nuovi, e perciò provocatori, valori: le proteste contro la guerra in Vietnam, il rapporto con la droga, la visione del sesso, la critica al consumismo sfrenato. Si configura dunque un nuovo capitolo della direzione cinematografica di Lino Del Fra, ora più ricettiva e solidale nei confronti delle rivendicazioni studentesche, delle lotte operaie e del movimento rivoluzionario apportato dal Sessantotto su tante parti del vivere civile. In V. & V. (1969), per esempio, il cineasta racconta scelte di vita alternative, non conformi alle regole imposte dalla società, indagando una coppia che convive al di fuori del matrimonio e che “parla di politica quando fa l’amore e parla d’amore quando fa politica”, mentre in Trappola per bambini (1967), l’infanzia è vista come prigioniera della città che non concede spazi ludici sicuri.
Nei primi anni Settanta in cui il movimento politico di contestazione dibatte sul significato storico di Liberazione, Del Fra si presta, insieme a Mangini, a ricoprire il ruolo di sceneggiatore per il lungometraggio di Marco Leto, La villeggiatura (1973) che vince il Nastro d’argento come miglior regista esordiente e il premio George Sadoul come miglior film straniero. La vicenda vede il professore Franco Rossini (Adalberto Maria Merli), liberale e giolittiano, messo al confino dal regime, maturare la decisione di aderire al Partito comunista e darsi all’antifascismo militante.
La volontà di mettere in guardia il pubblico da un fascismo “in camicia bianca”, solo apparentemente meno pericoloso, ma nei fatti vivo e presente, si traduce nella messa in scena della “fiaba per bambini” di Gianni Rodari, La torta in cielo (1973), primo lungometraggio a soggetto di Del Fra. Il film ha una travagliatissima storia produttiva, costellata da lunghi ritardi e costanti dissidi tra l’autore e il finanziatore pubblico, l’Istituto Luce. Non è difficile capirne la motivazione: il messaggio antimilitarista e contrario all’autorità sia genitoriale, sia istituzionale è cantato a squarciagola dalla banda della Saponaia, composta da bambini e bambine di borgata.
Molte le similitudini relative alle faticose restrizioni produttive e ai temi narrati tra La torta in cielo e l’ultimo lavoro di Del Fra, Klon (1992), dove, un quartetto di ragazzini coraggiosamente affronta le folli aspirazioni di uno scienziato, deciso a sfruttare la clonazione umana per accontentare esercito e industriali. «Non si vince mai, voglio dire, non è mai per sempre… E noi insistiamo!». La battuta finale della giovane protagonista sembra condensare in poche parole la visione del mondo maturata da Pasqualino Del Fra e dalla moglie e collega Cecilia Mangini, spesso co-sceneggiatrice e ideatrice insieme a lui di tutti i suoi progetti.
La creazione a due più sentita, sul piano privato e di militanza, è Antonio Gramsci. I giorni del carcere (1977), vincitore del Pardo d’Oro al Festival di Locarno. Il film racconta del periodo passato dall’intellettuale e politico di Ales nella prigione di Turi tra il 1928 e il 1933; Gramsci assume simbolicamente i tratti di una figura contraria a qualsiasi forma di autoritarismo, sia dimostrando con forza il proprio antifascismo, sia criticando l’ortodossia ideologica del Partito comunista. Pensando all’impatto che il film avrebbe potuto avere nell’Italia degli anni di piombo, Mangini rinuncia volontariamente al suo passaggio al lungometraggio, dal titolo Se…, per condividere con il compagno l’ideazione e la realizzazione di quest’opera.
Il loro connubio umano e professionale produce inoltre Comizi d’amore ‘80 (1983), omaggio a Pier Paolo Pasolini e aggiornamento della sua inchiesta condotta vent’anni prima, sull’affettività, il sesso e l’amore da Nord a Sud; interrogando trasversalmente classi sociali e categorie professionali diverse, emerge una evidente spaccatura generazionale.
Malato da molto tempo di cuore, Lino del Fra si spegne il 19 luglio del 1997.

Filmografia Lino Del Fra

La filmografia di Lino Del Fra è stata redatta confrontando le informazioni provenienti dai visti di censura e dal registro pubblico delle opere cinematografiche (PRCA). La datazione si riferisce all’anno di edizione dei film. Per questo motivo non è presente La statua di Stalin, uscito con un titolo diverso, Processo a Stalin, e senza la firma degli altri autori, Lino Del Fra, Cecilia Mangini e Franco Fortini. Infine, il criterio utilizzato per l’organizzazione della presente filmografia è stato distinguere fra i ruoli ricoperti da Lino Del Fra nella realizzazione della varie opere, ovvero regista e sceneggiatore/soggettista.

Regista

Vecchio regno (1959), co-regia Cecilia Mangini

La gita (1960)

L’inceppata (1960)

Il popolo vota socialista (1960), co-regia e co-sceneggiatura Cecilia Mangini e Lino Micciché

La passione del grano (1960)

All’armi, siam fascisti! (1962), co-regia e co-sceneggiatura Cecilia Mangini e Lino Micciché

San Lorenzo, uomini e case (1962)

Fata Morgana (1962)

Spettacoli di gala (1962)

I misteri di Roma (1963), film a episodi. Registi: Gianni Bisiach, Libero Bizzarri, Mario Carbone, Angelo D’Alessandro, Lino Del Fra, Luigi Di Gianni, Giuseppe Ferrara, Ansano Giannarelli, Giulio Macchi, Lorenza Mazzetti, Enzo Muzii, Piero Nelli, Paolo Nuzzi, Dino Bartolo Partesano, Massimo Mida Puccini, Giovanni Vento

Nel parco (1964)

Lettera dal Friuli (1964)

Dopo l’alluvione (1965)

Anatomia di un capellone (1966)

L’assurdo (1966)

Trappola per bambini (1967)

Come favolosi fuochi d’artificio (1967)

Stripe Girl (1968)

V&V (1969)

Domani canterò (1971)

Il mestiere di attore (1972)

Mimmo e Walter (1972)

La torta in cielo (1973)

100 metri per giocare (1973)

Lavorare stanca (1974)

Nasce un parco (1975)

Antonio Gramsci – i giorni del carcere (1977)

Comizi d’amore ’80 (1983), inchiesta televisiva in tre puntate

Roma S.O.S. cultura (1986)

Prigionieri di un sogno (Tifosi) (1986)

Klon (1992)

Sceneggiatore/soggettista

La guerra continua (1962), regia di Leopoldo Savona

… E ho sempre lavorato (1965), regia di Adriana Cenni, pseudonimo di Cecilia Mangini

La villeggiatura (1973), regia di Marco Leto