Senza frontiere:
il lavoro di Mara Blasetti
In questa pagina di approfondimento, si vuole esplorare la dimensione internazionale che ha contraddistinto l’esperienza professionale di Mara Blasetti. Vengono ripercorse le lavorazioni cinematografiche gestite per conto di case di produzione estere, ma le cui riprese sono avvenute (anche) in luoghi della Penisola italiana. In un caso particolare, quando la materia filmica tocca un tasto dolente della memoria storica di un intero Paese, le vicende produttive possono complicarsi ulteriormente.
Sezioni percorso
1
Con lo sguardo dritto e aperto nel futuro
2
Quando i confini si confondono
3
Luci e ombre a Cinecittà
4
Vivi auguri di buon lavoro
5
Italiani brava gente
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Con lo sguardo dritto e aperto nel futuro
Ad apertura del volume di Silvia Toso e Evelina Nazzari, Fratelli d’arte. Storia familiare del cinema italiano, compaiono le riflessioni di Mara Blasetti sulla sua infanzia e giovinezza, giudicate dalla stessa come “molto fortunate e felici”. Contro ogni aspettativa, il primo pensiero corre alla madre “con idee, per l’epoca, molto progressiste rispetto all’educazione di una bambina”. Maria Laura Quagliotti instrada infatti la figlia allo studio delle arti, alla lettura, al piacere del bello scoperto nei viaggi vissuti assieme, prima della Seconda guerra mondiale; organizza per lei lezioni private di francese e tedesco, a cui seguirà l’apprendimento della lingua inglese negli anni liceali. È interessante notare oggi quanto la formazione della giovane Blasetti, così libera e aperta al di fuori dei confini nazionali, si sia rivelata funzionale, se non addirittura fondamentale, per la sua carriera professionale.


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Quando i confini si confondono: le produzioni internazionali girate in Italia
Come esplicitato nel percorso tematico “Uno sguardo di genere sulla carriera di Mara Blasetti”, la direttrice di produzione si è principalmente specializzata in lavorazioni cinematografiche internazionali, potendo vantare, sul suo curriculum, la collaborazione con società del calibro di 20th Century Fox, Paramount, Columbia Pictures. Spesso, i produttori statunitensi o europei la assumevano per contribuire alla selezione delle location per le riprese, da trovare in Italia, e gestire poi l’organizzazione in loco. Alle permanenze all’estero per lavoro si sommano quindi soggiorni lavorativi in giro per il Bel Paese. Tanti i set allestiti in Campania, tra Napoli, Salerno e Amalfi: I vincitori (The Victors, Carl Foreman, 1963), Modesty Blaise: La bellissima che uccide (Modesty Blaise, Joseph Losey, 1966), Frammenti di paura (Fragment of Fear, Richard C. Sarafian, 1970) e Che? (What?, Roman Polanski, 1972). Non manca Roma all’appello, che diventa scenario di Cronache di un convento (The Reluctant Saint, Edward Dmytryk, 1962) e Gidget a Roma (Gidget Goes to Rome, Paul Wendkos, 1963). Tra le eccezioni meritevoli, il paesaggio innevato di Cortina d’Ampezzo attraversato sciando dallo 007 Roger Moore in Solo per i tuoi occhi (For Your Eyes Only, John Glen, 1981).
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Luci e ombre a Cinecittà
Per una incredibile ricorsività esistenziale, Mara Blasetti si ritrova a frequentare, da addetta ai lavori, un luogo nell’Urbe, precisamente in via Tuscolana n. 1055, che le è profondamente familiare, perché da bambina l’ha “visto nascere”: Cinecittà. Eppure, quando la direttrice di produzione rientra negli stabilimenti, i fasti del “boom economico” e dell’attrazione internazionale sono in declino. Negli anni Settanta, la “Hollywood sul Tevere” cede a una grave crisi finanziaria interna, in linea con l’atmosfera drammatica che soffoca l’industria cinematografica nazionale, minacciata anche dall’espansione del potere mediatico televisivo. Il periodo è nero, ma qualche luce si accende ancora. Come testimoniano i documenti d’archivio, dal 12 agosto 1968 Blasetti partecipa alle riprese negli studios romani di L’ultimo avventuriero (The Adventurers, Lewis Gilbert, 1970), film ad alto budget della Paramount Pictures. Nel 1975 stila preventivi e ordinativi a Cinecittà per la fabbricazione di alcuni vagoni del treno “protagonista” di Cassandra Crossing (The Cassandra Crossing, George Pan Cosmatos, 1976), accanto a stelle del cinema, quali Sophia Loren, Alida Valli, Ava Gardner, Burt Lancaster, Richard Harris. Infine, una nota del 2 luglio 1981 a Missori & Tavani s.r.l., ditta di trasporti internazionali, certifica che la produzione di La tempesta (Tempest, Paul Mazursky, 1982), si è spostata a Cinecittà tra il settembre e il novembre dello stesso anno.


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“Vivi auguri di buon lavoro e grosso successo”: la realizzazione di Il leone del deserto
A fronte delle gigantesche proporzioni di personale tecnico e artistico impiegato, natura delle location e gestione delle spese, Il leone del deserto (Lion of the Desert, Moustapha Akkad, 1981) rappresenta la lavorazione cinematografica più difficile di Mara Blasetti. Coproduzione americano-libica, il film rievoca gli ultimi anni di vita di Omar Al-Mukhtar, capo della resistenza libica contro i colonialisti italiani in camicia nera, giustiziato dal generale Rodolfo Graziani nel 1931. Tra i fascicoli d’archivio dedicati al progetto, è possibile leggere un invito a Blasetti per celebrare l’imminente fine della costruzione di due camp sites a Shahat e Aujulah, nella regione della Cirenaica. Per avere una stima dell’impegno produttivo durante le riprese nel Paese nord-africano, avviate nel marzo 1979, Alvaro Romei riporta, su una pagina del suo volume riguardo alla pellicola, cifre vertiginose: “120 tende, 10 tonnellate di viveri, 1 milione di bicchieri di plastica, 5000 cavalli […]. Cineprese ed occorrente per le luci, carri armati e autoblindo sono stati acquistati all’estero e trasportati nel cuore del deserto”.
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“Italiani brava gente”: l’impatto di un film sul colonialismo tricolore in Libia
È il 27 luglio 1979: Mara Blasetti, “onde evitare che qualche nostalgico fascista possa arrecare fastidi”, chiede al responsabile ufficio stampa Chuck Painter di “non diramare più le località da noi scelte per le riprese e di rinviare la conferenza stampa […]”. Di lì a poco, la Falcon International Productions si stabilirà a Roma (Hotel Plaza, Centro Sperimentale di Cinematografia, Palazzo di Giustizia) e dintorni (Palazzo Farnese a Caprarola), cercando di mantenere un “basso profilo” e non convocando alcun giornalista sui set. Con l’intenzione di restituire sul grande schermo il valore della lotta portata avanti dal popolo libico contro i suoi oppressori, il regista Akkad disvela parallelamente “un brandello della nostra storia”, una faccia del colonialismo troppe volte rimossa dietro il conciliante mito degli “Italiani brava gente”. Il sogno della “quarta sponda” nella mente di Benito Mussolini, le cui radici si possono rintracciare già nel progetto di conquista del governo giolittiano nel 1911, ha previsto un piano di colonizzazione demografica di emigranti bianchi, assieme a una vera politica di pulizia etnica dei nativi, messa in atto attraverso massicci bombardamenti e campi di concentramento. E non sorprende quindi che più di quarant’anni fa la pellicola non abbia ricevuto il visto di censura in Italia, perché giudicata lesiva nei confronti dell’esercito; triste, invece, notare che sia stata distribuita nelle sale del Bel Paese soltanto nel 2024.

